Giovanni Allevi: vivete intensamente!

Giovanni Allevi

Ho avuto il piacere di fare qualche domanda a Giovanni Allevi, compositore, direttore d’orchestra e pianista italiano, autore di oltre dieci albulm di musica classica contemporanea.

Ci ha raccontato la sua esperienza: gli inizi, la formazione, la gavetta, le difficoltà, le critiche e i successi.

Dopo le recenti tournée in Cina e in Giappone, Giovanni Allevi è in questi giorni impegnato nella ripresa dell’Equilibrium Tour in Italia.

Com’è iniziata la tua passione per la musica e il pianoforte?

Tutto è iniziato da un divieto. Non potevo assolutamente avvicinarmi al pianoforte che era a casa: chiuso a chiave, soltanto mia sorella più grande poteva suonarlo. Avevo solo cinque anni e cominciai a sviluppare un desiderio irrefrenabile per quello strumento, fino a rovistare ogni cassetto, per scoprire dove fosse nascosta la chiave. La trovai in una scatolina di plastica; era lucente, argentata, ricamata. Iniziai così a suonare il pianoforte di nascosto, ed i miei incontri furtivi continuarono per anni, fino a quando, in quinta elementare, fui scoperto. Le emozioni, davanti alla musica e allo strumento, erano di paura e desiderio insieme; paura di infrangere un divieto, di fare qualcosa di illecito, desiderio di toccare un mondo che mi attraeva irresistibilmente. Ancora oggi, davanti alla musica, provo le stesse emozioni.

Tu hai anche una evidente passione per la composizione. Quando e come l’hai scoperto?

Anche il primo ricordo legato alla composizione assume contorni traumatici. Gli anni dello studio accademico del pianoforte furono difficili, perché quando esploravo la musica di nascosto ero abituato ad una libertà totale. Ma capii subito che le regole andavano rispettate. Intorno al quarto anno di pianoforte, a lezione portai una sonata di Mozart, ed osai modificarne il finale a modo mio. Dissi con leggerezza mentre suonavo: “Non è più carino così?” La mia insegnante inorridì, poi prese lo spartito delle Sonate dal leggio e me lo tirò in testa! Il libro era anche abbastanza pesante e ci misi un po’ per riprendermi dallo shock, eppure mentre lo raccoglievo, con la coda dell’occhio notai che la mia insegnante stava accennando un sorriso, velato di orgoglio. In questo episodio c’è già tutto!

L’irriverenza dell’essere compositori davanti all’intoccabile tradizione classica (la hybris greca, l’incoscienza di sfidare gli dei), e lo scontro con il mondo accademico, che molti anni dopo avrebbe assunto dimensioni enormi.

Ci puoi raccontare il percorso della tua formazione professionale?

Dopo il periodo “di nascosto”, ho studiato 10 anni il pianoforte fino al diploma al Conservatorio di Perugia. Poi ho affrontato altri 10 anni di studio della Composizione, fino al diploma al “Verdi” di Milano. Contemporaneamente mi sono laureato in Filosofia. Tutto col massimo dei voti. In sostanza, ho passato la vita a studiare. Ore e ore al giorno, perdendomi anche molti aspetti leggeri della vita adolescenziale. Ma ero affamato di conoscenza! In particolare durante gli ultimi anni del corso di Composizione a Milano, mi sembrava di vivere un sogno, tra sperimentazione, prove d’orchestra e musica elettronica. Lo so, può sembrare impopolare ciò che sto per dire, ma lo studio è importante!

Oggi molti ragazzi sono scoraggiati; mi scrivono: “Che studio a fare, se poi non c’è il lavoro, oppure vanno avanti solo i raccomandati?” Hanno ragione ad essere delusi, ma questo non vuol dire che dobbiamo rinunciare alla conoscenza, il più potente strumento che abbiamo per destreggiarci in questo mondo incerto.

Giovanni Allevi

Ph: Riccardo Spina

Quali sono stati i tuoi primi lavori? Come li hai avuti?

Dopo il diploma in pianoforte, entrai come insegnante alla scuola di musica della mia città. Ma tornato dal militare scoprii che la mia classe era stata data ad un altro. Intanto facevo supplenze di educazione musicale alle scuole medie. Sempre meno ore, finché attorno ai 28 anni mi trovai a terra, senza lavoro e senza alcuna prospettiva. Decisi così di trasferirmi a Milano e devo dire, trovai subito un impiego come cameriere, con cui pagarmi l’affitto del monolocale. Fu la svolta: avevo finalmente il tempo mentale per dedicarmi allo studio al conservatorio e alla composizione dei miei brani. Il giovane Maestro, direttore d’orchestra Alberto Veronesi, mi contattò per offrirmi un lavoro “assurdo”: la rielaborazione in tempi record, dell’orchestrazione di tutti i recitativi della Carmen di Bizet, che sarebbe andata in scena al Baltimora Opera House, negli USA.

Era il mio primo lavoro, nel vero senso della parola. Lo portai a termine come se non avessi mai fatto altro nella vita! Dopodiché mi chiese: “Ma tu, hai mai scritto musica tua?” Gli consegnai così il brano “Foglie di Beslan” per pianoforte e orchestra, che egli inserì nella stagione dell’Orchestra Sinfonica Siciliana, a Palermo. Era il mio debutto da compositore con l’orchestra.

C’è stato un momento della tua vita in cui hai capito di aver attraversato una svolta importante per la tua carriera e per il tuo futuro? Qual è stato?

Ricordo perfettamente il momento. Una volta arrivato a Milano, oltre al lavoro come cameriere ottenni una supplenza annuale in una scuola media dell’hinterland, questa volta come insegnante di sostegno. Seguivo dei ragazzini con un leggero autismo, in classe vicino a loro, in compresenza con l’insegnante di Italiano. Un giorno, in un momento di sconforto, me ne stavo seduto a terra nel corridoio della scuola quando quell’insegnante mi regalò un libro: “Leggilo” mi disse, e se ne andò. Era “L’Alchimista” di Paulo Coelho. Lessi quelle pagine con avidità e ne rimasi folgorato, soprattutto da una frase: “Quando insegui un sogno con tutta la passione, l’Universo trama in tuo favore”.

Essere consapevole di questa legge misteriosa dell’Universo, è stata la svolta della mia vita. Non dovevo aspettare che le cose mi fossero date dall’esterno, ma potevo mettere in gioco il fuoco della passione, cioè una spinta che veniva da dentro di me, e sicuramente qualcosa sarebbe accaduto.

Ci sono state occasioni in cui hai dovuto fare qualche peripezia?

Appunto. E’ iniziato, da quel momento, il periodo delle peripezie! Come farmi assumere come cameriere al tavolo personale del Maestro Muti, o girare per New York in cerca di un’audizione, oppure i tanti concerti fatti in luoghi sperduti, anche all’estero, davanti un pubblico di 15, 20 persone. Una gavetta infinita, affrontata sempre col sorriso e la fiducia che prima o poi, l’Universo avrebbe tramato in mio favore.
Finché arrivarono il doppio sold-out al Blue Note di New York e il tutto esaurito all’Oriental Art Centre di Shanghai. Prima ancora che in Italia accadesse qualcosa. Ricordo, con un sorriso, le date del mio primo tour: Hong Kong, New York, Shanghai, Peschici e Cerisano!

Giovanni Allevi

Hai mai dovuto affrontare qualche difficoltà o rifiuto? Come hai fatto?

A quel punto iniziarono i problemi. Avevo passato tanti anni in solitudine, a scrivere pagine e pagine di musica sinfonica, senza un progressivo confronto con il mondo culturale accreditato. Improvvisamente arriva “Allevi”, che dirige le sue sinfonie in jeans, Converse e maglietta, che parla della necessità filosofica di rinnovare la tradizione classica, che, senza volerlo, dà ad intendere di un presunto primato della composizione sull’esecuzione (mentre i sacerdoti della “casta” erano tutti esecutori).

Per di più, iniziavo ad essere seguito dalle folle. Ahahahah!!! Ingenuamente, come un agnellino mi stavo lanciando allegramente in un covo di lupi! Che periodo, ragazzi! Da quel 2008 non c’è stato collega, direttore d’orchestra, violinista o compositore contemporaneo, che non abbia sfogato su di me il proprio risentimento, a mezzo stampa. Speravo di aver creato una romantica spaccatura tra tradizionalisti e innovatori.

Immaginavo di avere i giovani dalla mia parte…macché! Mi sono ritrovato solo. Solo! Al mio conservatorio di Milano, vado a fare una fotocopia, e mi trovo davanti una contestazione di studenti. A Napoli lo stesso. Addirittura, di rientro da un tour in oriente, al teatro di Livorno trovo organizzato un sit in di studenti per impedire al pubblico di entrare a vedere il mio concerto!
Cosa avreste fatto al posto mio? Io sono andato in depressione.

E poi?

Per quattro anni non ho scritto più una nota. Ho pensato che tutto sarebbe finito da un momento all’altro. Di notte ho preso a non dormire, per immaginare dei discorsi in cui mi difendevo. Sono ingrassato di 15 chili ed ho perso l’incoscienza dell’inizio. Per la prima volta facevo esperienza del buio della mia anima, della caducità della mia vita e del mio lavoro. Facevo anche l’amara scoperta dei meccanismi della comunicazione, per niente democratici. In realtà stavo entrando in un momento di incubazione, che molte persone vivono. Chiudendomi in una crisalide, sicuramente sarei rinato come una farfalla, ma ci voleva del tempo. E’ stata la composizione di un concerto per violino e orchestra a dare un senso a quel buio, a rompere la corteccia della crisalide e ad iniziare la mia rinascita. Ho ricominciato a scrivere musica, con un approccio diverso. Totalmente incurante dei giudizi, della critica, dello stesso consenso. Quelli là, Chopin, Rachmaninov, Brahms, Mahler, sono dei giganti.

Se noi, nella composizione, non ci confrontiamo con la loro musica, soprattutto con le forme dilatate delle sinfonie, dei concerti per pianoforte e orchestra, non stiamo facendo niente! Loro si fanno beffe dei milioni di visualizzazioni dell’ultimo tormentone pop.

Stranamente, di pari passo con la ripresa della composizione, sono sceso di peso, ho iniziato a correre e a mangiare soprattutto frutta e verdura. Ma incredibilmente, ho iniziato a constatare attorno a me una sorta di rivincita. Ora, dopo anni, i conservatori mi chiedevano di incontrare i giovani studenti e le istituzioni musicali volevano la prima esecuzione delle mie nuove opere. Ora vengo incoronato come l’innovatore. Ma è stata durissima.

Qual è il tuo approccio personale per preparare un nuovo pezzo di musica? Quali sono i passi che segui?

Di quel periodo buio mi è rimasta l’insonnia. Nel silenzio notturno, a volte resta intrappolato nella mia mente un frammento musicale. Se risponde a determinati requisiti, non gli do tregua. Lo sviluppo al massimo delle sue possibilità espressive. Nei mesi a seguire, quel frammento svela ciò che lo precede e ciò che ad esso segue. Io non devo fare altro che assecondare la musica; è lei che guida il gioco, non le logiche di mercato o le aspettative della critica. Più vado avanti nella composizione, più le scelte musicali da fare sono chiare.

Nell’orchestrazione, prendo spunto da Mozart, nel fare in modo che gli strumenti suonino sempre all’interno della propria estensione, oppure da Brahms apprendo l’uso raffinato dei contrabbassi e dei pizzicati degli archi; da Bach, l’idea che le melodie non debbano essere abbandonate finché non le si è sviluppate ai limiti del possibile; dai sinfonici ricevo spunti sull’architettura dilatata dei brani, anche se questo significa andare controcorrente, perché oggi l’ascolto si è fatto contratto e distratto; da Luca Marenzio, acquisisco la certezza che le regole, una volta conosciute, possono anche essere infrante; da tutti i grandi, apprendo la libertà di espressione!

Giovanni Allevi

Molte delle tue composizioni hanno una carica energizzante molto positiva, entusiastica e riconoscibile come una tua “impronta”, per così dire, personale. C’è qualche ragione particolare per l’uso di questo “colore” speciale?

Io sono una persona ansiosa. Sono timidissimo, ed ho fatto tutto questo senza avere la minima intraprendenza. E’ costante dentro di me il senso di colpa, quel morso che da un momento all’altro, sfocia nell’attacco di panico. Per questo motivo, scrivo una musica che, pur partendo dal buio, cerca sempre una luce.

E’ anche vero che nella mia musica, a volte un senso di struggimento dell’anima prende il sopravvento, come nell’Adagio dal concerto per violino, nello sconosciuto “Carta e penna” per pianoforte solo, o nel recente “No words” per pianoforte e archi. Ma voglio credere che esista un lieto fine, nella vita delle persone, a cui tutti hanno diritto. Puoi essere denigrato, incompreso, ma la vita è un dono prezioso!

Nel tuo doppio ruolo di compositore ed interprete delle tue musiche, quale delle due attività ti dà oggi più soddisfazione, intendendo sia il punto di vista artistico che quello economico.

Tutto nasce dalla composizione. La mia gioia sta anche nel confrontarmi con gli interpreti della mia musica: i violinisti che hanno eseguito il mio concerto per violino, o i pianisti che hanno affrontato il mio concerto per pianoforte e orchestra, hanno condiviso l’ebbrezza di fare qualcosa per la prima volta, come dei moderni cavalieri.

Qui bisogna tornare, è qui la verità: il compositore contemporaneo e l’interprete, insieme vanno incontro al pubblico. Questo è il nuovo. Tutto il resto è retorica, celebrazione, simbolismo, reiterazione del passato. L’aspetto economico? Qualche volta va bene, qualche volta meno, ma la gioia è immensa.

Qual è l’errore che oggi non commetteresti più con la tua esperienza?

Professarmi apertamente un sognatore. Soprattutto al giorno d’oggi, il sognatore non funziona nella comunicazione. Fa molta più breccia lamentarsi e criticare, anche se non si fa niente per cambiare. Sono tempi duri per i sognatori; ma io lo sono, e non posso farci niente!

Può un compositore-concertista vivere di questo lavoro oggi?

Senza dubbio. Ci sono dei giovani creativi, con cui sono in contatto via mail, che stanno muovendo i primi passi in questa direzione. Cerco di incoraggiarli il più possibile, perché quella che affrontano è una vera missione romantica.

Li esorto a fare tesoro dei piccoli risultati raggiunti. Ma è anche vero che la composizione è qualcosa che ti viene da dentro, con una forza devastante, alla quale non puoi opporti.

Quali tendenze prevalgono nell’industria musicale pianistica oggi?

Mi sembra di vedere che il Minimalismo rappresenti la musica strumentale più in voga oggi. Io non riesco proprio a sposare questa corrente. Il vero Minimalismo radicale, nacque in America nel secolo scorso, come reazione alla Dodecafonia europea.

Dall’eccesso di tumultuosa incomprensibilità di Schönberg si cadde nel suo opposto: la ripetizione estrema ed ossessiva di brevi formule melodiche. Una soluzione geniale. Poi però il Minimalismo ha avuto una deriva commerciale, che tutti conosciamo, che al confronto col coraggio dei suoi fondatori, mi fa pensare ad una “resa” della musica, una eccessiva semplificazione, motivata dall’ansia di raggiungere il consenso a tutti i costi.

Giovanni Allevi

A quali progetti stai lavorando attualmente?

Sempre inseguendo l’ideale di una musica classica nelle forme, e contemporanea nei contenuti, ho appena finito di comporre un concerto per uno strumento (che non è il pianoforte) e orchestra. Voglio tenerlo segreto, finché tutto non sarà pronto per la prima esecuzione. E’ uno strumento che io invano ho provato a suonare da ragazzino. Ma siccome sarà un virtuoso ad eseguire il mio concerto, vedremo scintille!

Quali suggerimenti daresti ai giovani compositori che volessero intraprendere la tua stessa strada?

Di avere fiducia in quanto dice il filosofo tedesco Hegel: il presente è sempre nuovo! Qualunque tradizione artistica deve essere rinnovata, perché lo Spirito del Tempo si evolve in continuazione. Quindi ci saranno sempre le energie creative per comporre nuove sinfonie, che racconteranno il nostro tempo, e non un’epoca di due secoli fa.

Secondo consiglio: non farsi scoraggiare dal confronto con i numeri del pop. In questo ambito, per ottenere dei risultati ci vuole molto tempo. Noi siamo cavalieri lucenti, siamo dei pazzi, ciò che facciamo è per pochi. Come dice C.G.Jung, la vera bellezza è nascosta, costa fatica, non è immediatamente comprensibile.

In fine, il consiglio più importante: vivete intensamente! La musica parte dalla vita, e della vita è una manifestazione. Non dobbiamo fuggire l’ansia, l’insuccesso o i graffi dell’esistenza. Ogni aspetto, bello o brutto, deve essere celebrato dalla Musica!

Come si fa ad approfondire la conoscenza con il tuo lavoro, e a restare in contatto con te?

Attraverso un form, sul sito www.giovanniallevi.com è possibile scrivere una mail direttamente a me. Ma è assai più probabile incontrarmi in metropolitana a Milano, un luogo che amo moltissimo.

Un ultimo messaggio agli amici di ArenaMusicale

Ho accettato molto volentieri di fare questa intervista perché all’ArenaMusicale i musicisti possono confrontarsi su questioni di fondamentale importanza. Grazie per l’invito.

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